Il ritorno a Itaca
Durante la lunga assenza di Ulisse, i Proci, figli delle famiglie più nobili di Itaca, hanno occupato il palazzo reale di Itaca in attesa che Penelope ne scelga uno come sposo e quindi come prossimo re.
Una volta ritornato in patria, Ulisse non rivela a nessuno la sua identità, ad eccezione del figlio Telemaco. Decide di giocare d’astuzia per riprendere il controllo del palazzo e passa qualche giorno nella porcilaia di Eumeo, uno dei suoi servi, che non lo riconosce perché l’eroe è travestito da mendicante.
Nel frattempo, si informa sui cambiamenti avvenuti a Itaca durante la sua assenza e, dopo quattro giorni, si reca insieme ad Eumeo al palazzo reale. Vicino alla porta vedono un vecchio cane disteso su un mucchio di letame e ricoperto di zecche: è Argo.
Ulisse ed Eumeo parlarono tra di loro; e, nel mentre, (290)
Odissea XVII 290-300
un cane sdraiato vicino sollevò il muso, alzò le orecchie. Era il cane
di Ulisse, Argo, che lui stesso da giovane aveva allevato,
ma della cui compagnia non aveva mai potuto godere, perché prima
era dovuto andare alla sacra Troia. I giovani un tempo
lo portavano con loro a caccia di capre selvatiche, cerbiatti e lepri, (295)
ma adesso lui – ultimo tra gli ultimi – giaceva lì a terra.
Da quando il suo padrone se ne era andato lontano, viveva nello sterco
di mulo e bue che veniva posto davanti all’ingresso
perché poi potesse servire da concime nei vasti terreni di Ulisse.
Lì in mezzo stava quel cane, Argo, tutto pieno di zecche. (300)

L’incontro tra Argo e Ulisse
Ulisse passa davanti ad Argo, che nota all’istante il proprio padrone. Al contrario di Telemaco e Penelope, il cane riconosce Ulisse senza bisogno che sia lui a rivelarsi.
Vorrebbe avvicinarsi per esprimere la sua gioia nel rivederlo, ma è troppo vecchio per alzarsi e riesce solo a rizzare le orecchie e a muovere la coda in una parvenza di scodinzolio. Non vediamo un esplicito riconoscimento di Argo da parte di Ulisse.
Egli deve nascondere la sua identità, e per questo finge di non conoscere il cane. L’eroe reprime le lacrime e chiede informazioni sul segugio, in modo da scoprire di più senza destare sospetti sulla sua identità.
Allora Argo, come si accorse che quello lì vicino era davvero Ulisse,
Odissea XVII 301-310
subito agitò la coda ed abbassò entrambe le orecchie,
ma ancora più vicino al suo vecchio padrone non ebbe la forza di andare.
Ulisse tenne distolto lo sguardo, trattenne il suo pianto;
così facilmente lo nascose ad Eumeo, e gli rivolse queste parole: (305)
“Eumeo, mi sorprende questo cane steso nello sterco,
che sembra tanto bello nell’aspetto; ma non riesco a capire una cosa:
oltre all’apparenza, è mai stato anche veloce nella corsa
o non è nient’altro che un cane da banchetto, che dai suoi padroni veniva
allevato soltanto grazie ad una cosa, la bellezza?”. (310)
Ritratto di un cane
Eumeo esalta allora le capacità di un tempo di Argo, spiegando come il suo sovrano sia morto lontano (tutti ormai credono che non tornerà più) e come ormai nessuno si prenda più cura di quel cane.
La decadenza dell’animale, un tempo allevato per la caccia e ora abbandonato a morire, indica anche il degrado raggiunto dalla reggia in mano ai Proci e dal regno di Itaca privo del suo sovrano.
Il guardiano dei maiali, Eumeo, così rispose alla domanda di Ulisse:
Odissea XVII 311-323
“Questo qui è solo il cane di un uomo morto molto lontano;
però, se anche soltanto nella forma fisica o nelle azioni fosse ancora
adesso come lo lasciò Ulisse partendo per Troia,
tanto ti sorprenderesti a vedere quanto era veloce, quanto era forte. (315)
Non c’era un animale che riuscisse a sfuggirgli nel cuore
della foresta profonda, qualsiasi preda inseguisse lui che era esperto
nel seguire tracce. Ma ora è Argo preda della sventura:
il suo padrone è morto lontano da casa, e non se ne curano le donne.
Questo perché, quando i signori smettono di governare, (320)
allora anche i servitori si rifiutano di compiere il loro dovere.
Ed è Zeus, signore tonante, il dio che porta via ad un uomo
gran parte del suo stesso valore, quando il giorno della schiavitù lo coglie”.
L’identità di Ulisse
Nel momento in cui rivede Ulisse, il cane smaschera il proprio padrone senza esitazione, quando nessun altro è stato in grado di farlo; non importa che Ulisse sia vestito di stracci e non importa che sia stato assente per vent’anni.
Argo aspetta Ulisse pazientemente e si fa trovare sulla soglia del palazzo, quasi come se sapesse che sarebbe passato di lì. Fa appena in tempo a vedere il proprio padrone mentre varca la soglia e, subito dopo, muore.
Eumeo parlò, entrò nel bel palazzo dove viveva
Odissea XVII 324-327
e puntò dritto verso la sala, passando in mezzo ai nobili pretendenti. (325)
Mentre presto su Argo calò un nero destino di morte,
non appena riuscì a rivedere Ulisse, che non vedeva da vent’anni.
La morte di Argo introduce una svolta fondamentale nel poema: segna la ripresa di identità da parte di Ulisse. Infatti, l’eroe viene creduto morto e, di conseguenza, Itaca è considerata priva di un sovrano.
L’episodio annuncia il vero e proprio ritorno del re. Il cane muore nel momento in cui Ulisse entra nella reggia, dove ucciderà i pretendenti e riacquisterà il controllo della sua dimora e del regno.
In questo senso, con la morte di Argo termina anche il passato tragico di Itaca e inizia una nuova fase del regno di Ulisse.

L’episodio di Argo non rappresenta una svolta narrativa essenziale, il racconto procederebbe anche senza. Eppure, la perdita del fedele compagno di Ulisse marca l’inizio della fine del poema e, nonostante sia un breve momento puramente simbolico, trasmette una grande emotività.
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Nota: la traduzione dell’Odissea proposta in questo articolo è originale e realizzata per l’occasione, a cura di Davide Lamandini; per leggere l’intero testo vedi la versione di Ippolito Pindemonte.