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“Le avventure di Lillo cagnuolo bolognese”, di Gasparo Gozzi

Questo è il racconto in prima persona della vita di Lillo, il protagonista del romanzo “Le avventure di Lillo cagnuolo bolognese”, a cura di Gasparo Gozzi (1713-1786). Abbiamo lasciato che fosse lui a raccontarla direttamente per mostrare attraverso la sua voce come era la vita di un cane (più fortunato di altri) nel Settecento.

Indice

Il fuoco del camino arde tenue alla mia destra e illumina, insieme ad alcune candele su un grande lampadario, l’ampio salone della casa di Lady Ermione. Da sotto una coperta fisso il soffitto bianco. Quindi poso lo sguardo sul camino, sulle pareti, sui quadri.

Nella mia vita ho conosciuto talmente tanti posti che faccio fatica a pensarne uno come la mia casa.

Tuttavia, questo salone mi riporta alla giovinezza, ai primi tempi in cui ero a Londra e giocavo con gli altri cani di Ermione, e a cena venivo servito dalla sua servitù. E i miei occhi, a questi ricordi, sorridono.

Sono passati ormai tanti anni da quei tempi felici. Ora ho quattordici anni, e sulla mia vita intensa si appresta a calare il sipario. Non ho più gusto né olfatto, e le zampe non mi reggono più.

Mentre i cristalli riflettono le ultime luci della candela rifletto sulla mia vita. Una domanda mi attanaglia: era davvero questo ciò che volevo?

Lillo Cagnuolo bolognese 1.
Le avventure di Lillo cagnuolo bolognese, di Gasparo Gozzi (1760).

Dall’Italia al Regno Unito

Sono nato a Bologna da Cigno e Mascherina, due cani bolognesi. Ho un carattere vivace e sono di taglia medio-piccola, caratterizzata da un corpo peloso principalmente bianco: mia madre aveva il volto scuro, mentre quello di papà era candido a eccezione del contorno degli occhi, dove il pelo era nero.

Queste caratteristiche rendevano i cani come me molto ambiti tra la borghesia e la nobiltà europea, tanto che alcuni esemplari arrivarono persino ai sovrani di Russia e Spagna

Ho vissuto la mia infanzia all’ombra di San Luca insieme alla padrona di mia madre, una ricca signora che amava frequentare diversi uomini. Con uno di questi, un inglese soprannominato Ilarione, aveva un legame particolarmente forte: spesso la riveriva di doni preziosi, tra cui un collare di diamanti per me.

Ma l’idillio svanì quando lui, stanco di questa relazione, con un pretesto qualsiasi fece ritorno in patria. Nell’ultimo incontro con la signora, Ilarione espresse il desiderio di portarmi a Londra con sé.

Fu così che – senza il collare di diamanti – lasciai per sempre Bologna alla volta dell’Inghilterra, dove Ilarione riprese la sua frequentazione di varie donne, molte delle quali vedove. Una di queste era appunto Ermione, vedova di un uomo violento. Un giorno entrai in salotto mentre lei cercava da Ilarione conforto per le sue sventure: appena mi vide notai un sussulto nei suoi occhi.

Ero entrato istantaneamente nel suo cuore; e non ne sarei più uscito. Anche questa liaison volse in poco tempo al termine… e anche questa volta divenni il pegno di un amore infranto. Finii così nella casa di Ermione, dove feci conoscenza con gli altri cani della padrona.

Questo fu sicuramente il periodo più felice della mia vita: nella dimora di Ermione ero servito dai camerieri come se fossi io a comandare. Addirittura, una volta la padrona fece cucinare per me un pollo intero: il pasto più squisito della mia vita!

Ma soprattutto conobbi per la prima volta il vero amore: Ermione teneva ai suoi cani fino alla follia, tanto da farli mangiare a tavola con sé. Avevo finalmente raggiunto la felicità, quella autentica, e credevo che le mie peripezie fossero finalmente giunte alla fine. Purtroppo, mi sbagliavo.

Perdita e ritorno da Ermione

Un giorno Ermione ci portò nel parco di St. James: entusiasmato da questo luogo d’incanto, cominciai ad esplorarlo in lungo e largo all’inseguimento di una pernice, fino a perdere di vista la mia padrona. Venni raccolto da una bambina che mi portò nella sua casa. 

Nonostante anche la nuova famiglia fosse ricca e agiata, l’affetto per noi animali non era lo stesso di Ermione: qui venivamo trattati come oggetti.

Rischiai persino di morire annegato mentre mi lavavano in uno stagno! Fortunatamente, una loro zia mi salvò da questa situazione, prendendomi con sé.

Lillo Cagnuolo bolognese 2.
Antiporta illustrata della prima edizione italiana dell’opera (1760).

In quella casa feci amicizia con una vecchia gatta di nome Mopsa, con la quale intrattenni alcune discussioni di filosofia. Ma bastò che strappassi alcune pagine di un libro perché anche la zia si stancasse di me: mi diede via per il costo di 50 ostriche.

Riprese quindi il mio peregrinare da una casa all’altra: divenni la mascotte di un caffè londinese, dove con grande mestizia ero costretto a sentire animate e patetiche discussioni sul più e sul meno. Più tardi finii catapultato nei bassifondi più poveri della città, dove conobbi l’umanità più derelitta ed emarginata.

Lì capii cosa fosse il vero dolore, e proprio lì piansi per la prima volta in vita mia, sentendo una pungente nostalgia per i bei tempi nella casa di Ermione. Venni preso prima da una guardia, poi affidato a un mendicante cieco quindi passai alla padrona di un’osteria, che all’inizio, vedendomi malconcio, pensò addirittura di lasciarmi annegare.

Un bel giorno, finalmente, una giovane aristocratica mi notò in osteria e volle portarmi a casa sua a tutti i costi. Riconobbi nell’ambiente della sua casa lo stesso benessere che provavo in quella di Ermione, ma il mio peregrinare era tutt’altro che finito.

Passai per le mani di politici, mercantesse, scribacchini, e finii persino a Cambridge, prima nell’alloggio di uno studente – dove durante uno scherzo tra studenti venni spacciato per un neonato –, quindi nello studio di un professore.

Alla fine, una buona dama mi riportò a Londra. E un giorno tornai a camminare per il parco di St. James. Proprio qui, per una incredibile coincidenza della sorte, ritrovai Ermione. Subito mi riconobbe e mi riportò nella sua sfarzosa dimora in cui mi trovo anche adesso.

L’amore di una persona

Mentre davanti agli occhi scorrono fotogrammi della mia movimentata vita, mi assale una gran rabbia. Solo adesso realizzo di essere stato un oggetto per gran parte della mia vita, preso o ceduto in base agli umori e ai capricci dei miei padroni.

Mentre il respiro diventa via via più affannoso, penso che però non voglio morire arrabbiato. Voglio pensare a qualcosa di bello. I miei occhi scivolano a destra, sul focolare acceso. Ripenso a Ermione, al suo sguardo sempre amorevole verso i suoi cani.

Lei forse è stata l’unica padrona a riconoscere la mia dignità, a non considerarmi solo un feticcio, a trattarmi come una persona. In tanti le avranno riso alle spalle per questo, ma l’affetto che mi ha dimostrato in tutto il tempo insieme è la gioia più grande della mia vita.

Ormai fatico a tenere aperti gli occhi, come se il sonno si stesse impadronendo di me. Il volto radioso di Ermione si staglia in testa, sembra che lei voglia dirmi “ti voglio bene, Lillo”…

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Nota: la storia raccontata in questo articolo è tratta dal romanzo “Le avventure di Lillo cagnuolo bolognese” (1760), opera di Francis Coventry, su traduzione di Gasparo Gozzi; per leggere l’originale, scarica il pdf a questo link.

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